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UNA SERA IN CAMERATA

E dell’Arno alto tesoro...

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19 gennaio 2013

UNA SERA IN CAMERATA

Museo Nazionale del Bargello

Sabato 19 gennaio 2013

Ore 17,30

E dell’Arno alto tesoro...

per celebrare

la prima adunanza documentata della

CAMERATA DE’ BARDI

il 14 gennaio 1573

a cura del

MUSEO NAZIONALE DEL BARGELLO

e della

RINNOVATA ACCADEMIA DEI GENEROSI

presentato da

STVDIVM FÆSVLANVM

e

DON JUAN ARCHIV WIEN

Team

Direzione artistica

Guido Corti

Segreteria di produzione

Stefania Gitto

Light design

Umberto Ciceri

Curatore storico

H. E. Weidinger

Consulenza storica

Piero Gualtieri

Redazione

Stefano Cavallerin Pierantonio Piatti

tipografia grevigiana

finito di stampare

©

ISBN 978-3-99012-095-8 (print)

SOMMARIO

Indirizzo di saluto

BEATRICE PAOLOZZI STROZZI

Dal Bargello alla Camerata

H. E. WEIDINGER

Breve storia del Bargello

Dante fra Bargello e l’opera in musica

I Bardi: banchieri, politici e patroni delle arti

Giovanni Maria Bardi Conte di Vernio

La Camerata de’ Bardi ovvero fiorentina ( 1573–1592 / 1592–1602 / 1605–1612 )

La Prima Sera in Camerata

STEFANIA GITTO E OTTAVIANO TENERANI

Parte I

Intermedio

Parte II

LA RINNOVATA ACCADEMIA DE’ GENEROSI

Stefania Gitto

DON JUAN ARCHIV WIEN

Matthias J. Pernerstorfer

STVDIVM FÆSVLANVM

Kuno Trientbacher

Indirizzo di saluto

Nell’ultimo decennio il MUSEO NAZIONALE DEL BARGELLO è diventato un luogo della musica, soprattutto nelle sere d’estate. Un luogo magico non solo per l’acustica perfetta del suo splendido cortile ma anche per l’aura raccolta e al tempo stesso incomparabilmente suggestiva del vasto chiostro gotico, popolato di opere d’arte e all’apparenza inaccessibile per le altissime mura, e che suscita nel pubblico la sensazione di esser fuori dal tempo: lo stato d’animo più propizio per disporsi all’ascolto e per accompagnare alla musica il piacere dell’immaginazione, specie sotto uno scampolo di cielo notturno.

Musicisti illustri e orchestre tra le più celebri d’Europa hanno suonato in questi anni al Bargello, respirando la sua particolare atmosfera e per tutti, ascoltatori ed esecutori, sono state serate indimenticabili. Più raramente la musica ha risuonato all’interno delle sale del Museo, durante la stagione invernale. Per la prima volta però, in quest’occasione e grazie alla RINNOVATA ACCADEMIA DEI GENEROSI, le due più celebri sale del Bargello – il Salone di Donatello e la Sala di Michelangelo – ospiteranno nella stessa serata un doppio concerto che unisce musica, poesia ed arte, per celebrare la prima adunanza della CAMERATA DE’ BARDI, il 14 gennaio 1573.

Il Rinascimento aurorale che spira dalle opere di Donatello (anche lui un Bardi, sebbene non dell’illustre progenie) e di Luca della Robbia troverà consonanze evocative con le Canzoni di Jacopo Peri e di Giulio Caccini, eseguite su antichi strumenti, che segnano col recitar cantando la nascita dell’opera italiana; così come poi, scendendo nella sala a pian terreno e raggiungendo il capo opposto dello stesso filo, i versi di grandi poeti dell’antica Grecia nella traduzione di Salvatore Quasimodo, messi in musica da compositori altrettanto grandi e legati alla città dell’Arno quali Luigi Dallapiccola e Luciano Berio, evocheranno i sogni e le inquietudini che quel secolo breve ha lasciato dentro di noi, quasi specchiandosi nel drammatico “non finito” delle sculture di Michelangelo o nel classicismo estenuato, malinconico e crudele delle creature di Benvenuto Cellini.

Pregustandone l’incanto, la nostra gratitudine va a tutti coloro che hanno immaginato e realizzato, al Bargello, questo straordinario omaggio ai tesori musicali di Firenze, e soprattutto allo STVDIVM FÆSVLANVM che ce li offre. Leggendo avanti vedremo come si è svolta la storia che ha origine dal Bargello che nel suo primo mezzo secolo era il centro politico dell’irrequieto giovane Comune di Firenze ed in cui s’incontrarono, fra i cittadini più eminenti, membri della famiglia Bardi e sommi poeti quale Dante Alighieri. È la preistoria di quella che, in grembo alla CAMERATA, si preparò a vedere la luce del mondo: l’opera in musica.

BEATRICE PAOLOZZI STROZZI

Breve Storia del Bargello

Il palazzo è il primo edificio pubblico della Firenze medievale; in questo riassunto riportiamo soltanto i fatti e le caratteristiche più eminenti, legati all’odierna SERA IN CAMERATA, abbracciando l’ampio contesto della CAMERATA FIORENTINA.

Palazzo del Popolo o del Podestà

A Firenze il Comune cominciò a prendere forma dal secondo quarto del XII secolo. Sappiamo delle magistrature del Consiglio Generale e del Podestà; questi, attestato

A Firenze il Comune cominciò a prendere forma dal secondo quarto del XII secolo. Sappiamo delle magistrature del Consiglio Generale e del Podestà; questi, attestato la prima volta nel 1193; dalla metà degli anni dieci del Dugento divenne figura centrale dell’ordinamento fiorentino e fu nominato regolarmente ogni anno. Riunendo in sé le attribuzioni di guida politica, giudice supremo e comandante delle milizie, il Podestà incarnò il più alto potere esecutivo cittadino; non poteva essere fiorentino e il suo periodo d’ufficio era limitato, per secoli a venire, a un solo anno.

Verso la fine del 1250, pochi mesi prima della morte dell’imperatore FEDERICO II (r. 1211–1250), nasce il governo del cosiddetto “Primo Popolo” e il comune, a partire dal 1252, conia una propria moneta: il fiorino d’oro. Le massime magistrature cittadine consistono nei Consigli degli Anziani e di “Credentia”, nel Capitano del Popolo e nel Podestà ognuno con i suoi Consigli Speciale e Generale.

Ben presto i magistrati sentirono l’esigenza d’una propria sede e, nel 1255, si diede principio alla costruzione del Palazzo del Popolo. Il primo nucleo dell’edificio, affacciato su Via del Proconsolo, fu realizzato, secondo Giorgio VASARI (Arezzo 1511–1574 Firenze), da LAPO TEDESCO (+ 1280 c., architetto del palazzo Spini a Firenze e della cattedrale di Arezzo, dal Vasari ipotizzato padre di Arnolfo di Cambio). La fabbrica inglobò la torre dei Boscoli (poi detta della Volognana) e alcune case e torri della Badia Fiorentina; questi primi lavori terminarono nel 1261.

Nel frattempo, in seguito alla sconfitta dei Guelfi fiorentini a Montaperti del 1260 e al rientro dei Ghibellini, era caduto il Governo del Primo Popolo e n’era nato uno ghibellino: vennero abolite le magistrature del Consiglio degli Anziani e del Capitano del Popolo e i suoi Consigli, e cessa ad esistere il Consiglio di Credenza. Così, dal 1261, fu solo il Podestà, assieme alla sua corte, a prendere possesso del nuovo palazzo.

Nel 1266 e dopo la disfatta a Benevento di re MANFREDI (r. 1250-1266), figlio naturale di Federico II, inflittagli da CARLO D’ANGIÒ (r. 1266-1285), il governo ghibellino a sua volta venne scacciato e sostituito da uno di Parte Guelfa; quest’ultimo fu abolito già nel 1267 dall’intervento di Carlo d’Angiò.

Questi, nominato da papa CLEMENTE IV (Gui Foucois, r. 1265–1268) “Paciere”, nel 1268, si autoproclamò Vicario Imperiale della Toscana, incarico dal quale si dimise, su richiesta di papa NICCOLÒ III (Giovanni Gaetano ORSINI, r. 1277-1278), nel 1278. Fu allora eletto Podestà dai fiorentini che, di fatto, gli concessero una signoria sulla città: ogni anno, dal 1267 fino al 1279 compreso, Carlo inviò a Firenze propri funzionari in qualità di vicari.

Nel 1282 si giunge alla creazione del “Priorato delle Arti”: per accedere al governo bisognava iscriversi, sia pure formalmente – come c’insegna l’esempio di Dante – a una delle sette Arti Maggiori (almeno dal 1285, anche a una delle Minori). Nacquero nuove cariche: nel 1282, quale magistratura suprema dopo il Podestà, i sei Priori, uno per ogni Sestiere della città (ai primi Priori appartenne anche un membro della famigli Bardi, Bartolo di messer Jacopo); nel 1289, il Consiglio dei Cento; e, nel 1293, il Gonfaloniere di Giustizia. Proprio da allora, il periodo d’ufficio del Podestà fu ridotto a sei mesi.

Fu così che, alla fine del Dugento, il Palazzo del Popolo (ovvero, del Podestà) venne ampliato con un’ala nuova su Via dell’Acqua, e entro la prima metà del Trecento, si realizzò il bel cortile porticato su tre lati, con archi a tutto sesto su pilastri ottagonali.

Quest’ingrandimento, però, non appagò le esigenze del nuovo governo che, nel 1299, avviò la costruzione d’un “Palagio Nuovo” dove, già nella primavera-estate del 1301, si poterono ospitare le nuove magistrature. Architetto della nuova sede fu ARNOLFO DI CAMBIO (+ 1302, capomastro della fabbrica di Santa Reparata, la cattedrale fiorentina). L’edificio, terminato nel 1315 e chiamato Palazzo de’ Priori, nel secolo XIV fu denominato Palazzo della Signoria divenendo, nel 1540, Palazzo Ducale. Dal 1565, con il trasferimento della residenza dei granduchi a Palazzo Pitti, lo stabile è noto come “Palazzo Vecchio”.

Appena finito il Palazzo de’ Priori, si ampliò il Palazzo del Popolo, ora detto “del Podestà”: fu rialzato, tra il 1316 e il 1320, sui lati di via Ghibellina e Via dell’Acqua, dal 1320 al 1340 su quello di Via Vigna Vecchia. Tra il 1340 e il 1345 si rialzò l’ala di Via del Proconsolo sotto la guida del pistoiese NERI DI FIORAVANTE (che riprogettò il Ponte Vecchio dopo un’alluvione). A questo intervento dobbiamo il salone del primo piano che fungeva da sala di ricevimento del Consiglio Generale e delle udienze del Podestà. Agli anni successivi e sempre a Neri di Fioravanti risale l’abbellimento della scala del cortile, ultimata nel 1367 e costruita sul lato non porticato, che porta al primo piano dove si apre il verone antistante al salone.

L’ufficio del Podestà cessò di esistere nel 1502, e in seguito il palazzo ospitò la sede del Consiglio di Giustizia e dei Giudici di Ruota.

Palazzo del Bargello

Con l’instaurarsi del granducato mediceo, nella seconda metà del Cinquecento la destinazione del palazzo del Bargello cambiò di nuovo, rimanendo però sempre legata all’ambito della giustizia: dal 1574, sotto il duca Francesco I de’ Medici (r. 1574-1587), diventò sede del Capitano di Giustizia (Capo delle Guardie o di Piazza) ovvero del Bargello.

Il nome “Bargello” deriva da barigildus, o bargildio, parola longobarda che indicava un uomo libero, subordinato prima al gastaldo poi al conte, con il compito di mantenere la pace pubblica (cfr. il gotico bargi ed il tedesco burg). Attraverso il latino bargillus, il termine passò nel portoghese e nello spagnolo (barrachel), nel francese (bansel, bargel) e nell’italiano (barigello). Nel comune di Firenze, da cui il nome trae la sua notorietà, era il bargello un ufficiale, di norma forestiero, al seguito del podestà e da lui dipendente. Egli viveva con i suoi “famigli” (che non sono i parenti, ma gli assistenti), di numero variabile secondo le esigenze, all’interno del palazzo, che infine prese il suo nome e che conservò nella memoria popolare, a ricordo delle sue non sempre gradevoli funzioni (provvedere agli interrogatori, agli arresti ed anche alle esecuzioni capitali).

Per adibire l’edificio alla sua nuova funzione di carcere, assolta per oltre due secoli e mezzo, nel cortile furono murati gli archi del loggiato e del verone, le sale più grandi vennero suddivise per ricavarne un maggior numero di celle, e tutte le pitture e le decorazioni ricoperte.

Uno dei pochi ornamenti di quel periodo era la fontana – oggi non più presente – che nel 1809, su disegno di Giuseppe DEL ROSSO (Roma 1760–1831 Firenze), fu aggiunta all’angolo della facciata sud.

Il 21 luglio 1841, nella cappella di Santa Maria Maddalena, al primo piano e accanto alla sala del podestà dove, assistiti dai confratelli della Compagnia dei Neri, sostavano i condannati a morte prima di avviarsi al supplizio, si riportò alla luce un ciclo di affreschi con un ritratto di Dante. Quivi il poeta tiene in mano un libro ed è raffigurato molto giovane, schierato fra gli eletti del paradiso. Secondo Vasari l’affresco sarebbe stato dipinto da GIOTTO DI BONDONE (Vespignano 1266–1337 Firenze) e oggi quest’attribuzione sta riprendendo credito presso gli studiosi. Questa scoperta aprì la via al restauro della cappella, eseguito dal pittore e restauratore Antonio Marini riguardo agli affreschi, e dagli architetti Francesco LEONI e Pasquale POCCIANTI (Bibbiena 1774–1858 Firenze).

A seguito dell’interesse suscitato dal rinvenimento dell’unico, vero ritratto di Dante, padre della lingua italiana, ad opera di Giotto, il carcere fu trasferito all’ex Convento delle Murate; nel 1857 e, per disposizione del granduca LEOPOLDOAZZEIIANCHI